Carie, la rivista letteraria che va alla polpa
Potrà sembrare strano, ma ho sempre trovato il mondo odontoiatrico molto affascinante. Sono cresciuta nello studio dentistico di mio padre, il laboratorio era per me un posto magico e in sala d’attesa trovavo sempre qualcosa da sfogliare e ammirare. Quando mi sono laureata e ho iniziato a lavorare, sognavo di modernizzare lo studio e renderlo interessante e divertente per i pazienti, come lo è per me. Così nel 2015, con un caro amico, abbiamo fondato una rivista letteraria liberamente ispirata al mondo odontoiatrico che si chiama Carie. Volevamo che i pazienti in sala d’attesa avessero a disposizione qualcosa di diverso dai soliti settimanali di gossip. Ogni racconto pubblicato sulla rivista viene selezionato dalla redazione per poi essere successivamente assegnato dalla nostra art director ad un illustratore. Gli autori, sia scrittori che illustratori, donano il loro lavoro alla rivista che potete leggere e scaricare gratuitamente qui 👉 www.carieletterarie.org
Ho iniziato questa avventura un po’ per scherzo e la rivista ad oggi conta dieci numeri pubblicati, con l’undicesimo in uscita a breve!Ogni redattore ha pubblicato un proprio racconto sulla rivista, anche io.Non so se è vero che chiunque può imparare a scrivere, ma io ci ho provato. Non ho mai seguito un corso di scrittura, quindi siate buoni. Di seguito trovate ciò che ho scritto e pubblicato su Carie. Se state pensando “facile autopubblicarsi”, avete ragione! 😂
Quello che non ho
Era il 1961, avevo diciassette anni e ogni mattina mi alzavo di buon’ora per sbrigare le faccende. Mia sorella era già sposata e a casa c’ero solo io ad aiutare la mamma. Lei faceva poco o niente perché era sempre stanca e io dovevo occuparmi di tutto. Non mi ha mai insegnato molto e ho imparato quello che so con i rimproveri e le botte. Anzitutto bisognava assicurarsi che i vestiti di Vincenzo, mio fratello maggiore, fossero ben stirati e inamidati. Poi passavo tutti i pavimenti, prima con la scopa e dopo con lo spazzolone. Facevo avanti e dietro alla fontana tutti i giorni. Appena finivo, mi preparavo e andavo al mercato con la mamma. Passavamo anche al forno per prendere una pagnotta, ogni tanto. Il ragazzo che lavorava lì era sempre gentile con me, mi sorrideva. Lo pensavo spesso, soprattutto in quei momenti in cui mi sentivo triste o stanca. Oppure quando mia sorella mi raccontava delle cose belle che le comprava suo marito o di come era contenta di essere sposata con lui. Le aveva chiesto la mano un giorno di giugno e prima della fine dell’estate si erano già sposati. Si conoscevano da bambini, lui era un carabiniere. Io l’avevo aiutata a prepararsi quel giorno. Era felice di andare via da noi, anche se a casa per lei non era stato come per me. Accompagnava la mamma a far spese e poi poteva ricamare e cucire per tutto il tempo che voleva. Io invece ho sempre dovuto fare i mestieri, perché non sono brava come Anna. A pulire, lavare e stirare, invece, non ci va nulla, non serve intelligenza. Solo braccia forti e buona volontà.
Il ragazzo del forno un giorno che ero sola alla fontana mi chiese come stavo. Fu quel giorno che scoprii il suo nome: Rocco. Ero così contenta che non riuscivo a trovare le parole e avevo paura che pensasse che fossi matta. Speravo sempre di incontrarlo e fantasticavo sul nostro matrimonio. Volevo tanto che mi chiedesse di sposarlo, sarei stata una moglie bravissima e una madre amorevole. Non come la mia. Avrei dato affetto a mio marito e ai miei figli e li avrei sostenuti sempre, incoraggiandoli. Non facendoli sentire inutili e manchevoli. Gli avrei dato l’amore, e sarei stata felice e loro con me. In paese c’era un uomo che si diceva sarebbe andato a lavorare in Germania. Era più grande di me, di dieci anni. Era un gran lavoratore, così lo chiamava mia mamma. Sapeva mantenere una famiglia e presto lo avrebbe fatto. Quando sentivo quelle parole, pensavo che anche Rocco avrebbe potuto farlo e mi avrebbe reso più felice.Ma un giorno di maggio quell’uomo, quel gran lavoratore, arrivò a casa mia e andò a parlare con mio padre. La sera i miei genitori mi dissero che in autunno l’avrei sposato. Piansi per tutta la notte, ma sapevo di non poter scegliere. Non avevo il coraggio di dire a nessuno quello che pensavo e sognavo. Così una settimana dopo organizzarono un incontro, parlammo un po’ e mi disse che sarebbe andato in Germania per lavorare e guadagnare. Ci saremmo sposati al suo ritorno e saremmo andati a vivere al nord. Aveva un cugino che lavorava alla Fiat e l’avrebbe aiutato a trovare un lavoro e una casa per noi. Era così euforico che non riuscii a dir nulla, non potevo rifiutarlo e lui sembrava avere così tanta felicità che – pensai – sarebbe bastata per tutti e due. Mi amava da tanto disse, da lontano, e non appena aveva avuto un po’ di denaro si era convinto di chiedere a mio padre il permesso di sposarmi. Così conobbi mio marito: un pomeriggio di primavera, sapendo poco più del suo nome. Fissammo la data per il 10 di ottobre, due giorni dopo il suo ritorno dalla Germania. Ci sposammo in chiesa con mia sorella che mi portava il velo e mio padre che firmò per me che non ero ancora maggiorenne. Quando partii lasciai ogni cosa a me familiare per andare con un uomo che non conoscevo a vivere in una città grande e dove si leggevano cartelli con su scritto “Qui non si fitta a meridionali”. Ogni giorno ripensavo a mia sorella a mia madre e ai miei sogni. In quella casa di una stanza dove passavo tutte le mie giornate. Pulivo e cucinavo e stiravo, aspettavo mio marito con in grembo il primo figlio. Ne vennero quattro. Con i bambini era difficile, piangevano e avevano bisogno di me. Mia sorella aveva avuto due bambini e sapevo che mia madre l’aiutava sempre. Ma mio marito era una persona buona e gentile, almeno quello. Anche se io pensavo sempre al ragazzo del forno, con cui ero certa sarei stata felice. Gli avevo dato quattro figli, gli avevo dato la mia giovinezza ma non potevo dargli l’amore. E lui questo lo sapeva. Me lo leggeva negli occhi, ogni sera quando tornava da lavoro. E io forse capivo mia madre allora, forse anche lei voleva una vita diversa. Forse anche lei non poteva dare l’amore, perché l’aveva perduto al forno.
Questo racconto è stato pubblicato sul numero cinque di carieletterarie, l’illustrazione è di Sonia Ligorio.
Carie!
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Ciao cara, accomodati pure. Grazie ancora per lo spot, è venuto proprio bene. E grazie per mia zia. In questi giorni mi sembra stare molto meglio. Dopo la batosta con mio zio, ho avuto veramente paura che non si riprendesse. Mi ha telefonato stamattina, per parlarmi dell’esterna che ha fatto nel fine settimana. Lei è molto presa e a detta sua, anche lui. Era preoccupata che lui avesse un mezzo flirt con una di Candiolo, ma la sensitiva le ha assicurato che per questa non prova nulla. Ultimamente esce spesso anche in settimana e c’è un paziente che mi chiede sempre di lei. Lei è un po’ scocciata che lui sia in carrozzella, ma io l’ho incoraggiata comunque ad accettare l’invito a cena: se non dovesse andar bene con il tronista, quantomeno non mi torna in terapia per non soffrire di solitudine a casa. Anche perché il suo psicoterapeuta credo che quest’anno abbia superato la fascia di fatturazione. Ho temuto ci volesse tornare perché la nuova compagna di mio zio, Crystal, voleva venire a far una seduta di sbiancamento qui da me. Ho dovuto indirizzarla con una mia collega per evitare che lei la vedesse.
Ad ogni modo volevo dirti che ho pensato alla tua proposta per lo spot 2018 e sì, mi piacerebbe veramente tanto lavorare con te. Credo che il co-protagonista maschile potrebbe essere un attore poco conosciuto, ma che secondo me ha una capacità recitativa che va oltre. Tu mi dirai, ma che bisogno c’è considerando che ti deve prendere tra le braccia e baciarti appassionatamente dopo che tu hai lavato i denti con il nuovo spazzolino Carie? E io ti dico che secondo me bisogna sfatare il mito della pubblicità fatta solo per attirare il consumatore, Joe Manganiello si merita di recitare in questo spot. Che ne pensi?
– Dottoressa posso…? Dottoressa?! DOTTORESSA!- Oddio, che spavento. Che c’è? – Si è di nuovo addormentata sulla poltrona. Ma cosa stava sognando? L’ho sentita farfugliare di spot televisivi. Comunque il paziente delle 16 è in sala d’attesa ed è piuttosto scocciato. Posso farlo accomodare?
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